Giovani portano sassi sulle spalle (Rasora), 1951
Giovani portano sassi sulle spalle (Rasora), 1951

Nella pianura e nella collina era prevalente l’utilizzo, come materiale da costruzione e per la copertura dei tetti, la terracotta (mattoni, coppi, tegole, elementi decorativi), ma in montagna, dove frequenti sono gli affioramenti di arenaria, per secoli questa pietra è stato l’elemento principe per costruire fabbricati di ogni genere.
Dalle fondamenta al tetto tutto era di pietra: le pareti, nelle quali i conci erano legati con terra (limi argillosi), i tetti, formati da lastre spesse qualche centimetro sapientemente ricavate da formazioni di arenaria con laminazione a piani paralleli ravvicinati. Anche all’interno della casa la pietra era utilizzata abbondantemente: le scale spesso erano di pietra (solo nelle abitazioni più povere si realizzavano con legno); di pietra erano anche i lavelli della cucina, incastrati nella strombatura di una finestra, in maniera da sfruttare al massimo la luce naturale e da agevolare il deflusso dell’acqua verso l’esterno. I pavimenti del piano terreno erano costituiti da lastre regolari giustapposte le une alle altre e nella cucina il camino, elemento centrale della famiglia rurale, era realizzato con pietre lavorate. Molte case recavano sulla porta o in un cantonale piccole immagini votive di ceramica, inserite in una cornice di pietra più o meno lavorata.

Cava di arenaria a Casa Berni (Rasora), 1961
Cava di arenaria a Casa Berni (Rasora), 1961

Anche gli annessi agricoli, utilizzati per riporre gli attrezzi o per l’allevamento degli animali, facevano ampio utilizzo della pietra, sia a livello costruttivo, sia per strutture di supporto come abbeveratoi e mangiatoie. Anche alcuni attrezzi agricoli erano in pietra: la ruota per affilare e la pietra per la trebbiatura dei cereali.

L’arenaria veniva da piccole cave diffuse sul territorio, talora dal dissodamento di nuovi campi o dalla conversione di un bosco in terreno agricolo. La parte più nobile veniva destinata all’edilizia, il resto del materiale lapideo si utilizzava per la costruzione di muretti confinari o di contenimento e per lastricare la viabilità rurale. L’abilità degli scalpellini consisteva nel saper riconoscere correttamente l’andamento della sedimentazione (laminazione), per ottenere fratture regolari e ben posizionate.
Nelle cave dapprima si scartava la parte più esterna e degradata (cappellaccio); una volta individuato il materiale idoneo, si procedeva al taglio degli strati di sedimentazione in controfalda, cioè perpendicolarmente allo strato. Si tracciava una linea di lavoro sul banco da tagliare e poi si praticavano fori a distanza regolare (tasche), con a capofila un foro più grosso, che aveva la funzione
di attivare il distacco. I fori seguenti concorrevano alla pressione di distacco e governavano la linea di frattura.

Serraglio (Baragazza)
Un’edicola a Serraglio (Baragazza)

All’interno dei fori si inserivano appositi cunei di ferro (biette) di dimensioni appropriate alle tasche realizzate. Una volta posizionati, si cominciava a batterli con la mazza di ferro percuotendoli in sequenza regolare e con colpi di pari intensità. Si aumentava così la pressione all’interno delle tasche create nel banco di arenaria, fino a ottenere il distacco di una parte. Il procedimento si ripeteva nella parte distaccata fino al raggiungimento della pezzatura desiderata. Analoghe modalità erano adoperate per la frammentazione dei massi emersi dal dissodamento dei campi, salvo che le dimensioni dei blocchi lapidei fossero già idonee all’uso.
La pietra così frammentata subiva lavorazioni di affinamento in base alle destinazioni d’uso. La realizzazione dei paramenti murari necessitava di conci con piani d’appoggio regolari e la faccia esterna non deforme. Le cornici delle finestre erano finemente lavorate per ottenere spigoli e facciate regolari.
Il materiale di cava veniva trasportato a dorso di somaro o, quando possibile, con carri trainati da buoi; alcune pietre subivano ulteriori lavorazioni, per affinarne le caratteristiche estetiche e funzionali.
I conci venivano allora trattati con punta, scalpello o bocciarda (particolare martello che conferiva una finitura a buccia d’arancia). La lavorazione della pietra, una delle tante attività che impegnavano il montanaro nel corso dell’anno, si effettuava soprattutto d’inverno, anche in presenza di neve, quando non urgevano altre incombenze agricole.