Un fortilizio conteso tra Emilia e Toscana
Il castello di Baragazza dominava la confluenza tra i torrenti Setta e Gambellato, fronteggiando il fortilizio di Civitella. Dominava il sottostante villaggio e la piana presso cui si ergeva la pieve. Fu uno dei punti strategici principali sull’Appennino nel periodo medievale, prima nel comitato dei conti Alberti, poi a confine tra il
dominio bolognese e quello fiorentino.
Il castello venne edificato forse dai conti Cadolingi, signori del territorio già nell’XI secolo, e passò quindi ai conti Alberti di Prato, che nel 1296 lo vendettero a Bologna, non senza successive recriminazioni da parte di alcuni rami della potente schiatta nobiliare.

Obblighi del custode del castello nel 1389
Dagli Statuti del Comune di Bologna: Parimenti un custode principale al castello di Baragazza, il quale nel modo più assoluto abiti nel detto castello, rafforzato e accompagnato da cinque compagni oltre a lui stesso. Si occupi in generale della sorveglianza e custodia del detto castello nel tempo del suo incarico.
E questo custode deve ricevere per sé come compenso mensile, ogni mese, venti lire bolognesi… Il custode doveva inoltre prestare una fideiussione di 3.000 fiorini d’oro che non gli sarebbero stati restituiti qualora abbia trascurato o abbandonato quel castello, una volta terminato il suo incarico prima dell’arrivo del suo successore ovvero qualora per errore, incuria o defezione del custode o dei suoi compagni il nominato castello cada nelle mani di un qualche nemico del Comune di Bologna…
Cronologia
1418
Si impiccano a Bologna Zoanne de Amadore da Quarto e due suoi figli, accusati di avere scavato una fossa sotto la torre del castello di Baragazza. Simile sorte toccò nel 1423 a Taviano e Ceccho, homini vecchii et antighi, poiché avevano tentato di corrompere lo guardiano de la roccha de Bargazza, e farlo vignire a la pieve soa.
La maiolica arcaica
L’argilla veniva lavorata al tornio per ottenere la forma desiderata. Dopo l’essiccazione il manufatto veniva cotto una prima volta, a temperatura di 850-900° C, ottenendo il biscotto, su cui veniva steso l’ingobbio, una miscela acquosa di silicato alcalino, ossido di piombo e ossido di stagno macinati, sul quale venivano realizzate le decorazioni a pennello con colori a base di ossidi metallici (inizialmente verde-ramina e bruno di manganese).
Esternamente e talora anche internamente veniva stesa la vetrina, una miscela di ossido di piombo e sabbia silicea che vetrificava nel corso della seconda cottura: lo smalto si fissava, incorporando la decorazione.
La vetrina formava un velo, conferendo al manufatto caratteristiche di particolare lucentezza e colori brillanti e rendendolo atto a contenere liquidi.
Gli esempi più antichi di maiolica italiana risalgono al XIII secolo, su probabile derivazione di ceramiche egiziane. Le prime produzioni si ebbero a Faenza, Pisa, Montelupo Fiorentino, Siena, Orvieto, Montalcino, Viterbo e Roma.