Nel corso del Novecento si è consumato il crepuscolo di una civiltà millenaria, il mondo rurale delle aree montane di quota, connaturato con un territorio austero e avaro di risorse, nel quale tutto era utile e necessario e nulla si sprecava. Qui si viveva da secoli secondo un modello di vita essenziale e minimale: ancora pochi decenni fa si mantenevano mestieri e lavorazioni che si svolgevano come nel lontano passato.
L’isolamento aveva impedito un’evoluzione dettata da modelli prevalenti, ma aveva tuttavia costituito anche una risorsa, in quanto protesse l’identità di quel mondo e lo tutelò da guerre e crisi  economiche.
Poche le risorse disponibili: pietra, legno, acqua e qualche lembo di terreno agricolo, materie prime disponibili in natura senza aggravio di costi se non la grande fatica del loro utilizzo e lavorazione. Dal bosco si ricavava nutrimento per gli animali (ghiande, foglie, arbusti) e per gli uomini: la castagna, vero e proprio pane quotidiano sulla tavola del montanaro. Non da ultimo il bosco era luogo di incontro e di socialità, frequentato in ogni stagione dell’anno in base alle esigenze del calendario rurale. Il legno forniva calore e diventava materiale da costruzione (travi, tavole, materiali da falegnameria, contenitori, strumenti da lavoro e di uso comune).
La pietra, al termine del medioevo, si affermò come elemento principe nelle costruzioni e sviluppò abilità e tecniche per la sua lavorazione e messa in opera. Dalle maestranze specializzate le conoscenze si diffusero a un numero sempre maggiore di scalpellini e muratori.

Era una società ricca di saperi, nella quale ognuno era chiamato a esprimere varie abilità, non ultime quelle agricole. Ovunque si coltivava un fazzoletto di terra faticosamente strappato al bosco. Seppur marginali, l’agricoltura e l’allevamento (pecore, capre, un maiale e nei casi più fortunati qualche bovino) erano elementi essenziali per la sussistenza alimentare e per piccoli commerci verso altre zone. Dalla terra si ottenevano foraggi per gli animali e cereali: orzo, avena, segale, grano. Orti austeri davano legumi, patate e qualche frutto. In quel mondo i giorni erano spesso segnati dalla fame e dalla fatica, ma la vita era sacra e tutto era frutto del creato.
Questa sala è il tentativo di rappresentare alcuni frammenti di quel mondo rurale ormai perduto.

Stluzze

Nel tronco cavo
coperto di muschio e formiche

sono racchiusi mille anni,
di sogno e fatica,
di fame e speranza,
voci, sorrisi, un battito d’ali
e il grande silenzio del tempo.
Nel vecchio tronco
è racchiusa la vita
che ogni anno con fragili gemme
pervade l’aria di nuove certezze
Quel tronco cavo è ormai un libro
che forse mai potremo leggere.

Il castagno (il tronco cavo) era l’emblema del mondo rurale di montagna. Le stluzze (termine dialettale castiglionese) sono le scaglie di legno prodotte dall’ascia del boscaiolo.

Nello Fogacci